SHAKESPEARE ERA SICILIANO …

E SE SHAKESPEARE ERA SICILIANO….
La teoria che vorrebbe Shakespeare italiano cominciò a circolare dopo che alcuni studi di matrice anglosassone, osteggiati dalla cultura inglese ufficiale, cercarono di far luce sui rapporti fra il bardo inglese e gli italiani esuli in Inghilterra, allo scopo di giustificarne la profonda conoscenza della cultura, della letteratura, della legislazione e finanche della geografia italiana, tutte evidentissime nelle sue opere.

Thomas Spencer Baynes (1823-1887), curatore della IX edizione dell’Enciclopedia Britannica, alla voce Shakespeare mise in luce le relazioni che intercorsero fra il poeta inglese e il linguista di origini italiane Giovanni Florio[46]. Peraltro, l’intero capitolo venne eliminato a partire dalla XI edizione dell’Enciclopedia.

Successivamente nel 1921 l’americana Clara Longworth de Chambrun, nella sua tesi di laurea alla Sorbona, dimostrava che Shakespeare si era ispirato alle opere di Florio per la sua produzione di ambientazione italiana.

Pochi anni dopo, nel 1934, anche la studiosa britannica Frances Yates si soffermò sulle possibili relazioni culturali fra Shakespeare e Florio. Secondo Yates sarebbe stato proprio Giovanni Florio, figlio del pastore protestante Michelangelo Florio, a giocare un ruolo di mediatore tra Shakespeare e la cultura rinascimentale italiana. Nei ritagli di tempo residuatigli dal suo impegno di spia al servizio di Francis Walsingham, Florio avrebbe messo a contatto il drammaturgo con le teorie dell’ermetismo filosofico e neoplatonico di Giordano Bruno. Sebbene anche questa ipotetica funzione mediatrice fu ritenuta improbabile dalla comunità accademica (da quello che si sa con certezza, si può solo dedurre che i due si conoscessero, avendo agito sotto lo stesso patronato culturale, quali protégé dei conti di Pembroke e di Southampton) ci fu chi andò oltre, avanzando la possibilità che Shakespeare fosse italiano o di origini italiane.

I due Florio: Michelangelo e Giovanni

(EN)« The belief that Shakespeare’s works were actually written by Florio is harder to refute than the case for any aristocrat’s authorship – but because Florio was not an Englishman, the case for him has never made much headway. Except in Italy, of course… » (IT)« L’opinione che le opere scespiriane fossero state in realtà scritte da Florio è più difficile da confutare che non l’attribuzione di esse a un aristocratico qualunque – ma poiché Florio non era inglese, la sua candidatura non ha mai fatto molti progressi. Eccetto che in Italia, naturalmente… »
(Jonathan Bate[49])

Il giornalista scillese Santi Paladino (1902-1981) sul quotidiano L’Impero (n. 30 del 4 febbraio 1927) e in una successiva pubblicazione ipotizzò che Shakespeare fosse solo uno pseudonimo, dietro al quale si celava Michelangelo Florio, frate toscano convertitosi al protestantesimo e per questo incarcerato e condannato a morte a Roma. Da qui riuscì però a fuggire nel 1550 per iniziare un lungo pellegrinare in Italia e in Europa, facendo tappa anche in Inghilterra, dove nel 1553 ebbe il figlio Giovanni, prima di trasferirsi definitivamente a Soglio in Val Bregaglia. Nella versione di Paladino, Michelangelo Florio si trovava a Messina quando qui si rappresentava la commedia Tantu trafficu pe’ nnenti(riecheggiante nel titolo la scespiriana Molto rumore per nulla), e soprattutto non morì a Soglio (dove il suo nome figura fino al 1566), ma rientrò in Inghilterra insieme a suo figlio Giovanni: ivi si diede a comporre drammi e sonetti e ivi morì verso il 1605, anno in cui cessò l’attività letteraria di Shakespeare.

Anni dopo Paladino corresse il tiro, ipotizzando una doppia stesura delle opere di Shakespeare: le versioni originali scritte da Michelangelo Florio sarebbero state poi tradotte e perfezionate per il mercato inglese dal figlio Giovanni in collaborazione con l’attore William Shakespeare, che quindi cessa di essere uno pseudonimo per assumere i panni di un prestanome e coautore:

« In quanto alle opere teatrali, ai poemi e ai sonetti, ci sarà stato tutto un accordo segreto con l’attore William Shakespeare affinché ne assumesse, temporaneamente o definitivamente, la paternità »
(Santi Paladino, Un Italiano autore delle opere shakespeariane, pag. 110)

Quest’ipotesi floriana è stata ripresa negli anni 2000 da Lamberto Tassinari (scrittore e docente presso l’Università di Montreal), il quale focalizza l’attenzione sul figlio di Michelangelo, Giovanni Florio, il poliglotta straniero, coinquilino di Giordano Bruno presso l’ambasciata francese a Londra, traduttore di Montaigne, autore del primo dizionario italiano-inglese (nel quale a fronte di 74.000 parole italiane raccolse ben 150.000 termini inglesi). Secondo Tassinari, tra gli scrittori elisabettiani eruditi, Giovanni Florio sarebbe stato l’unico a possedere la cultura e l’abilità linguistica evidenti nelle opere di Shakespeare:

« I collegamenti tra le opere e la biografia di John Florio e di Shakespeare sono così numerosi e seri che la maggior parte dei critici contemporanei non ha altra scelta che concludere che i due fossero amici. Ma in realtà non c’è evidenza di alcun contatto personale tra i due. Shakespeare segue John Florio come un’ombra, o come uno pseudonimo segue il cognome dell’autore. […] Semplicemente fanno finta di non vedere che John Florio è l’autore delle opere di Shakespeare! Questi critici capiscono perfettamente che Shakespeare ha preso a prestito troppo da Florio. E tutti sanno che quando si prende troppo a prestito si finisce con l’appartenere al proprio creditore! Florio ha dato a Shakespeare così numerose parole, idee e conoscenze che debitore e creditore sono diventati uno. »
(Lamberto Tassinari in un’intervista)

Più recentemente, altri autori, quali Saul Gerevini o Massimo Oro Nobili, sono più propensi a credere – coerentemente con quanto già ipotizzato da Santi Paladino – che le opere di Shakespeare siano il frutto del lavoro a sei mani fra i due Florio e l’attore William Shakespeare (dove comunque l’apporto dei primi due è nettamente preponderante).

Dopo Santi Paladino, a diffondere la tesi sull’italianità di Shakespeare contribuirono anche affermazioni dal mondo del paranormale. Nel 1936 un architetto veneziano e medium, Luigi Bellotti, sosteneva che lo stesso Shakespeare gli aveva rivelato “per comunicazione psicografica” che il suo nome originario era “Guglielmo Crollalanza”, protestante valtellinese, poi cambiato in Florio per sfuggire all’Inquisizione. Approdato in Gran Bretagna, avrebbe tradotto il cognome in Shakespeare.

Nel 1947 un altro paragnosta, Paolo Viganò, rese noto di essersi messo in comunicazione psicografica con il drammaturgo e di aver avuto conferma del cambio di nome da Guglielmo Crollalanza a William Shakespeare.

Negli anni cinquanta, il giornalista lombardo Carlo Villa (1884-1974) dedicò alla questione un paio di libri: perso nel 1574 il padre, pastore calvinista, e dopo un lungo pellegrinare fra varie città italiane, dove avrebbe vissuto in prima persona le vicende narrate poi nelle opere scespiriane, Michelangelo Florio sarebbe giunto a Londra, dove avrebbe tradotto in inglese il cognome della madre Giuditta Crollalanza. L’autore tuttavia non cita nessun documento a sostegno della sua tesi, affibbiando apparentemente a Giovanni Florio il nome del padre, Michelangelo.

Negli anni 2000 il prof. Martino Iuvara, riprendendo e reinterpretando la tesi floriana, giunse alla conclusione che Shakespeare fosse in realtà siciliano, da identificarsi con un tal Michelagnolo (o Michelangelo) Florio Crollalanza (o “Scrollalanza”), persona diversa dal Michelangelo, padre di John Florio, di cui però ipotizza fosse parente.

Figlio del medico Giovanni Florio e di Guglielma Crollalanza, il messinese Florio sarebbe stato costretto a causa della sua adesione alla fede calvinista a riparare in Inghilterra, dove a Stradford on Avon sarebbe risieduto un ramo della famiglia materna dei Crollalanza. Dal nome e cognome della madre avrebbe poi tratto ispirazione per il nom de plumeanglicizzato di “William Shakespeare”, in modo da evitare la persecuzione sotto un’altra identità: derivando il nome William dalla traduzione maschile del nome Guglielma, e il cognome dall’inglesizzazione di “Crollalanza”.

A sostegno di questa tesi, oltre a una gran quantità di coincidenze nella presunta vita di Michelagnolo, mai realmente provate, viene menzionata una commedia in sicilianoandata perduta, Tantu trafficu pe’ nnenti, già citata da Santi Paladino, che sarebbe stata pubblicata presso i Fratelli Spina di Messina nel 1579, molto prima di Molto rumore per nulla (Much ado for nothing). Ciò, nonostante sia noto che il nucleo dell’intera commedia shakespeariana è riportabile a una novella di Matteo Bandello, la XXII del primo libro delle Novelle, pubblicata già nel 1554.

Martino Iuvara giunse a chiedere (senza successo) alla regina Elisabetta II e a Tony Blair il permesso per visitare alcuni archivi che secondo lui avrebbero potuto aiutare a far luce sulla vicenda. In un’intervista affermò:

« E perché la biblioteca [di Shakespeare] non è mai stata messa a disposizione dei biografi? [Michelangelo Crollalanza] Studiò latino, greco e storia presso i francescani […]. Ma all’età di 15 anni fu costretto a fuggire con la famiglia in Veneto, a causa delle idee calviniste […]. Michelangelo abitò nel palazzo di Otello, un nobile veneziano che, accecato dalla gelosia, aveva ucciso anni prima la moglie Desdemona. […] s’innamorò a Milano di una contessina, Giulietta, che venne rapita dal governatore spagnolo […]. Giulietta si suicida e fu allora che Michelangelo fuggì in Inghilterra […] Ho quindi l’impressione che nessuno, in Inghilterra, abbia mai avuto il coraggio di tirare fuori la sua biblioteca lasciata in eredità. Salterebbe fuori la sua vera identità. Capisco la reazione degli inglesi. Sarebbe come se ci dicessero, all’improvviso, che Dante in realtà era, faccio un esempio, uno spagnolo. »
(Martino Iuvara in un’intervista)

In realtà, è un dato assodato che le vicende narrate nelle opere scespiriane ambientate in Italia – lungi dall’essere autobiografiche – erano note in Inghilterra tramite il teatro e la novellistica italiana della prima metà del Cinquecento. Così, ad esempio, la trama dell’Otello si ritrova negli Ecatommiti di Giambattista Giraldi Cinzio, Romeo e Giulietta sono in una novella di Luigi da Porto, mentre si è già detto che la vicenda originale di Molto rumore per nulla è da ricercare in una novella di Matteo Bandello.

Più recentemente, la tesi di Iuvara è servita da base per alcuni romanzi ed ha avuto un certo rilievo giornalistico, quando nell’aprile del 2000 The Times si è dedicato all’argomento, suscitando curiosità su altri media. Nel 2009 Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale hanno pubblicato la traduzione in siciliano della commedia “Molto rumore per nulla” (Troppu trafficu ppi nenti), quasi a voler riportare all’originale linguaggio e spirito del “vero” autore il testo inglese del dramma.
(fonte Wikipedia)